Il 28 Novembre di dieci anni fa lo ricordo come fosse oggi.
È freddo fuori, l’atmosfera sembra rarefatta e una nebbiolina densa rende tutto così bianco e ovattato, sembra di essere in un sogno, un senso di asfissia mi strige la gola non appena mi affaccio fuori dalla finestra.
Fa freddo, molto freddo.
In casa c’è molta confusione, io mi vesto di corsa, indosso un maglione viola scuro e dei pantaloni neri, presagio forse del risvolto triste e funesto della giornata, non so, oppure ho solo voglia di contrastare la bianchezza della giornata.
Fa freddo, ho fretta, devo andare a fare la prescrizione per prenderti in ospedale le bombole per l’ossigeno, ieri il dottore ha detto che forse potevano tornare utili. Vano tentativo di legarti ancora a questo mondo?
Io però sono contenta perché tu ieri sera, in barba a tanto tempo passato in uno stato vegetativo e in totale assenza di sentimenti, mi hai sorriso mentre ti imboccavo. Non succedeva da anni credo.
Le uniche smorfie che leggevo sul tuo viso erano di dolore per qualche medicazione forse troppo brutale o chissà per quale strana creatura che ormai abitava nella tua testa corrosa da un male tanto oscuro quanto spietato.
Ieri mi hai quasi preso la mano mentre ti facevo bere.
Esco di corsa, devo andare a ordinare questo ossigeno. Arrivo in ospedale, mi dicono anche che per te è stata assegnata l’infermiera per le tue piaghe, era ora penso. C’è molta gente.
Mi devo sbrigare perché stamattina quando sono uscita respiravi male, troppo, un rantolo terrificante, uno dietro l’altro, uno sempre più grande dell’altro, come l’onda che cresce sempre di più man mano che monta il mare, un rumore assordante tanto da spaccare la testa e strappare il cuore.
Rientro a casa, tua figlia mi apre la porta, non vedo il suo volto, sento solo la sua voce che mi dice quello che non volevo sentire.
Fa freddo ma io ho caldo: è il 28 novembre, 14 giorni dopo il tuo ottantaquattresimo compleanno, e tu te ne vai via dal tuo letto, dalla casa in cui hai vissuto gli ultimi anni della tua vita, da tua figlia e dai tuoi nipoti.
Sul tuo volto è tornato il sorriso di ieri sera.
Oggi sono dieci anni, nonna, che sei in giro per terra e per mare, tra le stelle e i fiori, e torni dentro me ogni volta che ne ho bisogno e che ho paura, e sento ancora sul tuo cappotto il tuo odore.
Fa freddo anche oggi nonna, ma metto il tuo cappotto e mi riscaldo.
È freddo fuori, l’atmosfera sembra rarefatta e una nebbiolina densa rende tutto così bianco e ovattato, sembra di essere in un sogno, un senso di asfissia mi strige la gola non appena mi affaccio fuori dalla finestra.
Fa freddo, molto freddo.
In casa c’è molta confusione, io mi vesto di corsa, indosso un maglione viola scuro e dei pantaloni neri, presagio forse del risvolto triste e funesto della giornata, non so, oppure ho solo voglia di contrastare la bianchezza della giornata.
Fa freddo, ho fretta, devo andare a fare la prescrizione per prenderti in ospedale le bombole per l’ossigeno, ieri il dottore ha detto che forse potevano tornare utili. Vano tentativo di legarti ancora a questo mondo?
Io però sono contenta perché tu ieri sera, in barba a tanto tempo passato in uno stato vegetativo e in totale assenza di sentimenti, mi hai sorriso mentre ti imboccavo. Non succedeva da anni credo.
Le uniche smorfie che leggevo sul tuo viso erano di dolore per qualche medicazione forse troppo brutale o chissà per quale strana creatura che ormai abitava nella tua testa corrosa da un male tanto oscuro quanto spietato.
Ieri mi hai quasi preso la mano mentre ti facevo bere.
Esco di corsa, devo andare a ordinare questo ossigeno. Arrivo in ospedale, mi dicono anche che per te è stata assegnata l’infermiera per le tue piaghe, era ora penso. C’è molta gente.
Mi devo sbrigare perché stamattina quando sono uscita respiravi male, troppo, un rantolo terrificante, uno dietro l’altro, uno sempre più grande dell’altro, come l’onda che cresce sempre di più man mano che monta il mare, un rumore assordante tanto da spaccare la testa e strappare il cuore.
Rientro a casa, tua figlia mi apre la porta, non vedo il suo volto, sento solo la sua voce che mi dice quello che non volevo sentire.
Fa freddo ma io ho caldo: è il 28 novembre, 14 giorni dopo il tuo ottantaquattresimo compleanno, e tu te ne vai via dal tuo letto, dalla casa in cui hai vissuto gli ultimi anni della tua vita, da tua figlia e dai tuoi nipoti.
Sul tuo volto è tornato il sorriso di ieri sera.
Oggi sono dieci anni, nonna, che sei in giro per terra e per mare, tra le stelle e i fiori, e torni dentro me ogni volta che ne ho bisogno e che ho paura, e sento ancora sul tuo cappotto il tuo odore.
Fa freddo anche oggi nonna, ma metto il tuo cappotto e mi riscaldo.
1 commento:
Non ho mai conosciuto tua nonna ma conosco sua figlia e sua nipote. La ringrazio per avermi dato la possibilità di percepire tanto sentimento e tento calore umano nella sua discendenza. Grazie nonna, spero che l'universo sia gentile con te.
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