« Ci sono coloro che guardano le cose come sono, e si chiedono perché..... Io sogno cose che non ci sono mai state, e mi chiedo perché no. » (R. F. Kennedy, citando George Bernard Shaw)
Ieri sera ho visto in tv un film del 2006 di Emilio Estevez, intitolato Bobby, uscito in Italia credo un anno fa e ne sono rimasta positivamente colpita sia per la sceneggiatura che per l’attualità, devo dire che ogni tanto qualcosa di interessante si trova in Tv, anche se trattasi di Tv a pagamento in questo caso.
Il film narra di uno dei grandi assassini politici avvenuti in America: l’uccisione del senatore Robert F. Kennedy del 6 giugno 1968 presso l’Ambassador Hotel, tuttavia non ne vuole dare spiegazioni o interpretazioni, in quanto la vicenda si srotola tra una ventina di personaggi marginali che in quel giorno di sangue si trovano li per vari motivi e che rappresentano il mondo di allora con i suoi drammi e le sue aspettative. C’è la guerra del Vietnam, c’è il problema degli immigrati messicani, c’è lo sballo dello LSD…ma soprattutto c’è il discorso di Bobby Kennedy e la sua umanità e io direi l’umanità della politica quando fare politica ancora era un valore, un ideale e un impegno di fronte alla nazione per il bene soprattutto dei più deboli.
Non è mia intenzione giudicare il kennedismo in generale, vorrei solo riportare all’attenzione uno dei concetti che forse è alla base di tale dottrina e cioè l’idea che la democrazia non deve essere considerata appannaggio di un solo gruppo di Paesi ma un valore universale…Vale ancora questo concetto? O per lo meno è ancora applicato?
Una riflessione mi è venuta paragonando la campagna elettore del senatore nel 1968 con la campagna elettorale dell’America di questi giorni, il paragone tra Obama e i Kennedy e soprattutto il discorso di Obama a Berlino del mese scorso:
«....Non vi parlo da candidato alla Casa Bianca, ma da americano, da cittadino del mondo. Non assomiglio agli americani che hanno parlato qui prima di me, la mia storia personale è diversa, una storia americana. Il padre di mio padre era un servo degli inglesi, un cuoco. Berlino è il simbolo della libertà per me, il simbolo di una determinazione alla quale i popoli del mondo devono guardare con ammirazione....».
Discorsi, ecco quello di cui volevo parlare, l’importanza del Discorso Politico, della comunicazione con l’elettorato, del saper parlare alla gente. Si sa che gli Americani sono un popolo che ama le sette e i santoni, che si lascia ipnotizzare dalle belle parole e che ha bisogno periodicamente di un leader carismatico, dedito al grande cambiamento proprio come erano i Kennedy allora e Obama oggi, in cui credere e identificarsi, a prescindere poi dai reali impegni realizzati. Ma è una colpa questa? Quello che vorrei dire è: è così criminale sapere fare un discorso politico e aspettarsi che chi ci rappresenta sappia parlare, esprimere sogni e grandi progetti, toccarci il cuore? Perdiamo ore dietro stupide trasmissioni che parlano di fuffa…e affari degli altri…e non esigiamo che i politici, o in generale gli uomini di potere sappiano per lo meno esprimersi in maniera corretta ed entusiasmante?
Ciò che mi manca e su cui vorrei porre l’attenzione è la mancanza attualmente almeno qui in Italia di veri oratori politici, forse non serviranno a migliorare la situazione, ma almeno potrebbero essere un piacere per la cultura e le nostre orecchie.
Sono stanca in effetti di persone famose e politici che si insultano in maniera greve, che mettono in piazza notizie personali degli avversari non avendo soggetti da trattare, che fanno battute del più basso livello che neanche in qualche teatro di terzo ordine si sento più, che prestano più attenzione al look che alla loro cultura personale.
Preferisco davvero un grande oratore capace di commuovermi, anche se impossibilitato a cambiare il mondo…anche perché ormai il mondo non può essere cambiato da un uomo solo, per quanto dotato di capacità e iniziativa... Sarà che un bel parlare ha sempre il suo fascino per me.
Dal discorso pronunciato da Robert Kennedy, il 18 Marzo del 1968 presso l'università del Kansas, interessante non solo per la dialettica ma anche e sopratutto per l'attualità :-):
Una riflessione mi è venuta paragonando la campagna elettore del senatore nel 1968 con la campagna elettorale dell’America di questi giorni, il paragone tra Obama e i Kennedy e soprattutto il discorso di Obama a Berlino del mese scorso:
«....Non vi parlo da candidato alla Casa Bianca, ma da americano, da cittadino del mondo. Non assomiglio agli americani che hanno parlato qui prima di me, la mia storia personale è diversa, una storia americana. Il padre di mio padre era un servo degli inglesi, un cuoco. Berlino è il simbolo della libertà per me, il simbolo di una determinazione alla quale i popoli del mondo devono guardare con ammirazione....».
Discorsi, ecco quello di cui volevo parlare, l’importanza del Discorso Politico, della comunicazione con l’elettorato, del saper parlare alla gente. Si sa che gli Americani sono un popolo che ama le sette e i santoni, che si lascia ipnotizzare dalle belle parole e che ha bisogno periodicamente di un leader carismatico, dedito al grande cambiamento proprio come erano i Kennedy allora e Obama oggi, in cui credere e identificarsi, a prescindere poi dai reali impegni realizzati. Ma è una colpa questa? Quello che vorrei dire è: è così criminale sapere fare un discorso politico e aspettarsi che chi ci rappresenta sappia parlare, esprimere sogni e grandi progetti, toccarci il cuore? Perdiamo ore dietro stupide trasmissioni che parlano di fuffa…e affari degli altri…e non esigiamo che i politici, o in generale gli uomini di potere sappiano per lo meno esprimersi in maniera corretta ed entusiasmante?
Ciò che mi manca e su cui vorrei porre l’attenzione è la mancanza attualmente almeno qui in Italia di veri oratori politici, forse non serviranno a migliorare la situazione, ma almeno potrebbero essere un piacere per la cultura e le nostre orecchie.
Sono stanca in effetti di persone famose e politici che si insultano in maniera greve, che mettono in piazza notizie personali degli avversari non avendo soggetti da trattare, che fanno battute del più basso livello che neanche in qualche teatro di terzo ordine si sento più, che prestano più attenzione al look che alla loro cultura personale.
Preferisco davvero un grande oratore capace di commuovermi, anche se impossibilitato a cambiare il mondo…anche perché ormai il mondo non può essere cambiato da un uomo solo, per quanto dotato di capacità e iniziativa... Sarà che un bel parlare ha sempre il suo fascino per me.
Dal discorso pronunciato da Robert Kennedy, il 18 Marzo del 1968 presso l'università del Kansas, interessante non solo per la dialettica ma anche e sopratutto per l'attualità :-):
"...Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani."
2 commenti:
Zia, ti leggo con vero piacere...:-)
Grazie Giuliano! :-)
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